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U.T.L.Anno 2011-2012

Riparte il Gruppo di lettura coordinato da Franco Signoracci.
Gli incontri si terranno nelle seguenti date (sempre
di mercoledì dalle ore 21.00 alle ore 23.00):
Ricrdiamo che la partecipazione agli incontri è gratuita.
12 OTTOBRE 2011
9 NOVEMBRE 2011
14 DICEMBRE 2011
11 GENNAIO 2012
8 FEBBRAIO 2012
7 MARZO 2012
18 APRILE 2012
9 MAGGIO 2012
il piacere della lettura

Pubblicità

Letture estive

Il gruppo lettura va in vacanza.

Le letture “consigliate” durante l’estate sono :

  • Il profumo delle foglie di limone di Clara Sanchez

 

 

 

 

  • Accabadora di Michela Murgia

 

 

 

 

 

Buone Vacanze e Buona lettura!!! 

Il gruppo lettura si ritroverà a Ottobre!

Joseph Roth (1894-1939)

Giobbe e La cripta dei Cappuccini

 Scrive Ladislao Mittner nella sua Storia della letteratura tedesca

“L’unicità di Roth consiste nel fatto che egli è compiutamente austriaco e compiutamente ebreo ad un tempo come nessun altro scrittore di lingua tedesca. La sua visuale è quella dell’aristocratico austriaco che è di casa in tutte le capitali dell’Europa, ma è anche quella dell’ebreo, che ha percorso e dovrà ripercorrere ancora tutte le vie fra l’Occidente e l’Oriente.”

Scrive Claudio Magris:

“L’impero asburgico, che Roth tende a fondere idealmente con la tradizione ebraico-orientale, diviene per lui il modello irreale e utopico da contrapporre alla violenza del presente… E’ un’alternativa fantastica a ciò che Roth, nella sua passione antiborghese e antiradicale, condanna… In una prospettiva apolitica, eguaglia capitalismo, nazionalismo, radicalismo e alla fine anche comunismo quali forme di un unico totalitarismo: quello del sistema sociale moderno che vuole porsi quale unica realtà datrice di valori. 

Due rapide annotazioni stilistiche:

  •  assoluta limpidezza di stile e linearità sintattica (la “semplicità” di J. Roth);
  • accumulazione e ripetizione “litanica” nelle descrizioni (in particolare in Giobbe).

Due romanzi a confronto

 

C. POTOK, Il mio nome è Asher Lev I.B.SINGER, La famiglia Moskat
Focalizzazione su un unico personaggio (pochi altri emergono con grande evidenza). E’ un romanzo individuale(“egoismo” del protagonista?)Punto di vista interno. Romanzo corale(diluvio di nomi… è abile nei passaggi da un protagonista all’altro).Punto di vista esterno.
Tempo della storia:alcuni anni, secondo dopoguerra.Tempo del racconto: lento, scandito da sequenze-litanie, improvvisamente si addensa attorno a fatti, dialoghi, istanti chiave, attorno ai quali la storia svolta.

Rapporto con la storia: la grande storia è interpretata attraverso gli occhi della comunità di ebrei ortodossi, ma fa da sfondo, a fatica (e con dolore) interagisce con la vita del giovane protagonista.

Tempo della storia:ampio arco, dall’inizio del secolo alle soglie della II guerra mondiale.Tempo del racconto: generalmente rapido (per seguire le vicende di molte persone:), si condensa in scene o in lettere o pagine di diario, che approfondiscono, o meglio svelano altri aspetti della storia e soprattutto dei singoli caratteri.

Rapporto con la storia: la grande storia è uno sfondo ripetitivo nella prima parte del libro, poi interagisce in maniera più forte sulle vicende (lotta x indipendenza dai russi, cambiamenti in Europa, nubi oscure… vd. frase finale).

Le sequenze descrittive rallentano, i dialoghi approfondiscono. Le sequenze descrittive sono fulminanti (in poche pennellate riesce a ricostruire un ambiente e un mondo), i dialoghi mettono in luce i caratteri
Tema fondamentale: rapporto tra il dono dell’arte e la tradizione culturale e religiosa della comunità di appartenenza. Tema fondamentale:il ritratto di un mondo – non idealizzato ma amato! – che la violenza della storia ha spazzato via:”Nei nostri sogni, come nella letteratura, la morte non esiste!”

l      Pietrangelo Buttafuoco presenta Canale Mussolini di Antonio Pennacchi (prima che vincesse il premio Strega)

 

 

Un errore blu e l’onta del luogo comune fare di Canale Mussolini, l’opera ultima di Antonio Pennacchi (Mondadori, 460 pagine, 20 euro), un libro fra i tanti del revisionismo.
Nel nuovo romanzo dello scrittore di Latina, infatti, c’è solo il magnificat della vera letteratura. C’è un’epica storicamente a noi vicina eppure percepita lontana, ma per cecità obbligata, speculare al revisionismo: l’esorcismo ideologico a ogni costo. Fosse pure per pagare il prezzo dell’oblio d’ogni nostra radice: sociale, culturale e spirituale.

Neppure un secolo fa un largo pezzo di territorio nazionale veniva restituito alla vita dopo infiniti secoli di maligna fanghiglia e palude. Una fatica titanica di tecnica, uomini e genio premiava la speranza di proletari giunti (è l’esempio di Canale Mussolini) dal Veneto e diventati coloni armati di vanga ed eucalipti idrovori da piantare ovunque albergasse uno stagno.

È il ritorno del romanzo italiano alla grandezza questo di Pennacchi. Non c’entra il fascismo in queste pagine. Che sia stato Benito Mussolini a redimere le Paludi Pontine è solo un dettaglio. Sono le storie di donne e uomini a rendere viva la carta di questo libro.
L’autore ha stampato col sangue del suo inchiostro un tributo dovuto alla sua gente. E come ogni vera fatica di letteratura, il più specifico dei dettagli, dalla ballata a gamba lesta delle donne al silenzio di una parola inghiottita di rudi uomini, si spalanca nella magnifica offerta universale dell’emozione: si ride, si piange, si ascolta, si guarda come solo nella letteratura si può riuscire a nutrirsi di umorismo, di commozione e di ammirazione.

E di partecipazione infine: come nelle storie d’amore, come nelle cantate dove perfino le scarne stoviglie contadine arredano un lusso altrimenti inespresso, lo sfoggio di un’umanità feconda. L’unico paragone che rende giustizia a Canale Mussolini è Il Mulino del Po di Riccardo Bacchelli.

Per luogo comune tanti credono di trovare in Pennacchi l’ossessione per la palude. La tentazione di chiudere il tutto secondo lo schema di un teatrino di famiglia risulta facile a chi ancora vuole dare a quest’autore una casella di facile conio. Pennacchi è già importante con Mammut, Palude e con il best-seller Il Fasciocomunista (da cui il film Mio fratello è figlio unico, con quel meraviglioso Gianni, suo fratello appunto, indispettito per essere stato impersonato nella pellicola da Riccardo Scamarcio: «Io so’ più bello». Un’affermazione certificata da esibita foto).

Non deve essergli comminata nessuna casacca: Pennacchi, che per fatti suoi è malato di politica (è, infatti, iscritto al Pd) e uno che non le manda a dire neppure a sinistra (proverbiali sono le sue infuocate assemblee), è uno scrittore nel senso alto della definizione. Magari per quel suo essere forgiato nella smagliante creta di Littoria (il vero nome di Latina), adesso che sempre più voci lo danno come possibile candidato al premio Strega…
OSSERVAZIONI “tecniche” sull’opera:

 

  • E’ romanzo storico ed “epico” (racconto “di fondazione”, respiro corale e personaggi reali che si trasfigurano, nella memoria e nel racconto, ottica particolare attraverso cui ricostruire la storia comune).

 

  • Cronotopo: spazio ampio, dal largo respiro (anche se attraversato in bicicletta, sui carri o sulla tradotta); tempo come elemento fondamentale nella costruzione del romanzo: è giocato ad altalena, con sapienti anticpazioni e flash-back, che preparano la narrazione dei vari episodi e collegano gli eventi gli uni agli altri.

 

  • La voce narrante è segnata da simpatia ed empatia…  

LA PROSSIMA VOLTA (9 MARZO ) LEGGEREMO  “IL MIO NOME E’ ASHER LEV DI CHAIM POTOK

12 Gennaio- Laura Pariani

12 Gennaio

MILANO E’ UNA SELVA OSCURA  di Laura Pariani

LAURA PARIANI, Milano è una selva oscura, Einaudi, Torino, 2010

1) Collegamento dell’opera alla “linea lombarda”:

–         motivi linguistici: il gioco del pastiche, fatto di elementi colti – le citazioni – ma anche bassi, come filastrocche, proverbi, modi di dire…; autori che si notano sono Porta (a partire dagli esperimenti di traduzione della Commedia), Manzoni (anche se in chiave critica), Tessa, Gadda, Testori, ma anche altri, grandi e piccoli; la filigrana fondamentale è quella della Commedia (si pone sulla linea del plurilinguismo dantesco, inoltre interpreta la discesa in Milano come una discesa all’Inferno, all’interno del quale sopravvivono frammenti di umanità);

–         motivi etici: la particolarità di Dante è quella di essere un barbone che osserva, pensa giudica Milano da un punto di vista originale e “privilegiato”: Mi pensi donca ghe son! = Cartesio! Inoltre Dante è lettore pubblico di frammenti di giornale, in una specie di originalissimo speaker corner riservato a persone che vogliono capire e hanno qualcosa da dire.

2) Lo spazio: è dichiarato esplicitamente nel titolo. Milano è la selva oscura in cui, più che perdersi Dante, si stanno perdendo gli uomini del suo tempo; una Milano abbruttita, divenuta volgare e avida, che si prepara per la stagione della “Milano da bere” ma anche della Milano delle contestazioni, della violenza, del terrorismo di ogni matrice. Dentro questo spazio, Dante sembra ricercare e tentare di salvare, almeno con la memoria, una città più umana. Sembra di sentire riecheggiare la conclusione delle Città invisibili di Italo Calvino: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

3) Il tempo: elemento chiave del romanzo! E’ un tempo reale (la vita quotidiana del barbone Dante), ma anche rituale, segnato nell’introduzione di ogni sezione da una citazione da El lava piatt del Meneghin ch’è mort di Carlo Porta, che è un almanacco + la scansione stagionale, che ha riferimento colto alle Stagioni di Vivaldi (è anche tempo musicale: vd. i sottotitoli dei capitoli). Vi sono però, nel tempo della storia, tre punti forti, segnati drammaticamente da esplosioni, che sembrano racchiudere la vita del barbone, ma anche la vita della città: le cannonate di Bava Beccarsi (nascita), il bombardamento di Gorla (morte della figlia), la bomba di piazza Fontana (morte di Dante).

4) Collegata strettamente alla riflessione sul tempo della storia e della narrazione, è la voce narrante: poche osservazioni oggettive (almeno apparentemente) proiettano poi subito nel monologo interiore del personaggio, attraverso cui “vediamo” e “annusiamo” la realtà (importanza dell’olfatto…) e di cui sentiamo il flusso di pensieri, giudizi, ricordi. Nel flusso continuo della narrazione, che mischia osservazioni del reale, riflessione e memoria, ci sono però alcuni punti forti, che ritornano come ritornelli e permettono di ricostruire la sua vita. C’è anche una anticipazione del futuro, l’unico possibile per un barbone settantenne: i dialoghi con la Morte, che incontrerà di lì a poco.

>>> Domanda dei critici: è un libro “artificiale” o un libro che ci parla?

 

La prossima volta si discuterà del libro 

CANALE MUSSOLINI  di Antonio Pennacchi

15 Dicembre: Gadda

15 Dicembre

Il libro assegnato é :

QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DI VIA MERULANA di E. GADDA

CARLO EMILIO GADDA (1893-1973)

  • Gadda è un razionalista, educato alla logica ragionativa, desideroso di ordine e di certezze (vd. laurea in ingegneria).
  • E’ un borghese colto, timodo e ipersensibile (problematica vita familiare, disastrosa villa in Brianza…), che ha creduto nella funzione ideale e civile della letteratura, nel mito dei valori umanistici e dell’ordine razionale.
  • Proprio in questo suo sogno di ordine, rigore, razionalità, decoro è stato violentemente “preso a calci” dalle vicende della storia privata e pubblica in cui si è trovato a vivere.
  • Si è trovato immerso  nella “imbecillaggine generale del mondo”, nelle “baggianate della ritualità borghese”, in mezzo al pasticciaccio di una realtà dissociata, caotica, contraddittoria.
  • Nasce in lui il bisogno di contestare il caos, denunciarlo, denigrarlo: con furore critica i simboli e i riti della convivenza sociale; guarda con sarcasmo e pietà dolorosa il caos nevrotico della propria condizione umana, della condizione umana di tutti.
  • La vita è dominata dal caos: egli se ne fa accusatore, sarcastico e dolente al tempo stesso.

 

Le armi di cui si avvale sono l’espressionismo stilistico (1) e lo stravolgimento delle strutture logiche del romanzo (2), scrive Calvino: «cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento» (Lezioni americane).

1) Lo stile lascia sbalorditi e affascinati: erede di tradizione espressionista e plurilinguismo maccheronico; mescolanza linguistica di elementi disparati , dialetti, registri e gerghi, che arrivano a scontri e stridori parossistici: “Lo stomaco era tutto messo in giulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare e peptonizzare l’ossobuco” (…). Impiega spesso accumulazioni caotiche, metafore e metamorfosi, la deformazione di immagini e parole. Si giustifica così: il mondo è un caos labirintico e barocco, non è la mia scrittura ad essere barocca, il barocco è nelle cose!

2) la ricerca di un ordine impossibile si riverbera anche sulla struttura dei romanzi: esplodono in infinite digressioni, miriade di frammenti a sé stanti; si fissa sul particolare, perché non si può avere un quadro chiaro e complessivo (la vita è “pasticcio, grarbuglio, gnommero”); oltre all’andamento divagante e frammentario, i suoi romanzi sono “incompiuti”.

CARLO EMILIO GADDA (1893-1973)

  • Gadda è un razionalista, educato alla logica ragionativa, desideroso di ordine e di certezze (vd. laurea in ingegneria).
  • E’ un borghese colto, timodo e ipersensibile (problematica vita familiare, disastrosa villa in Brianza…), che ha creduto nella funzione ideale e civile della letteratura, nel mito dei valori umanistici e dell’ordine razionale.
  • Proprio in questo suo sogno di ordine, rigore, razionalità, decoro è stato violentemente “preso a calci” dalle vicende della storia privata e pubblica in cui si è trovato a vivere.
  • Si è trovato immerso  nella “imbecillaggine generale del mondo”, nelle “baggianate della ritualità borghese”, in mezzo al pasticciaccio di una realtà dissociata, caotica, contraddittoria.
  • Nasce in lui il bisogno di contestare il caos, denunciarlo, denigrarlo: con furore critica i simboli e i riti della convivenza sociale; guarda con sarcasmo e pietà dolorosa il caos nevrotico della propria condizione umana, della condizione umana di tutti.
  • La vita è dominata dal caos: egli se ne fa accusatore, sarcastico e dolente al tempo stesso.

 

Le armi di cui si avvale sono l’espressionismo stilistico (1) e lo stravolgimento delle strutture logiche del romanzo (2), scrive Calvino: «cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento» (Lezioni americane).

1) Lo stile lascia sbalorditi e affascinati: erede di tradizione espressionista e plurilinguismo maccheronico; mescolanza linguistica di elementi disparati , dialetti, registri e gerghi, che arrivano a scontri e stridori parossistici: “Lo stomaco era tutto messo in giulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare e peptonizzare l’ossobuco” (…). Impiega spesso accumulazioni caotiche, metafore e metamorfosi, la deformazione di immagini e parole. Si giustifica così: il mondo è un caos labirintico e barocco, non è la mia scrittura ad essere barocca, il barocco è nelle cose!

2) la ricerca di un ordine impossibile si riverbera anche sulla struttura dei romanzi: esplodono in infinite digressioni, miriade di frammenti a sé stanti; si fissa sul particolare, perché non si può avere un quadro chiaro e complessivo (la vita è “pasticcio, grarbuglio, gnommero”); oltre all’andamento divagante e frammentario, i suoi romanzi sono “incompiuti”.

Simenon-Durrenmatt

17 Novembre: I primi libri proposti al gruppo di lettura sono

PIOGGIA NERA di G. Simenon

LA PROMESSA  di F. Durrenmatt

 Ecco i due libri a confronto

DUE LIBRI ALLO SPECCHIO

G. SIMENON, Pioggia nera F. DÜRRENMATT, La promessa
Stile: fin dalle prime pagine è lucido e preciso.

Lo stile corrisponde all’esattezza della memoria, che è uno dei concetti più ripetuti dal narratore.

Nella cura dei particolari ricorda i dipinti fiamminghi…

Stile lucido e lineare, senza fronzoli retorici (una lama di rasoio), che corrisponde alla lucidità della riflessione. Narrare logicamente che la logica nella vita non esiste.
Punto di vista del bambino-adulto che ricorda (narratore interno, ma distanza temporale: a tratti più distaccato a tratti più coinvolgente); gioco basso-alto (anche nella casa e nei lucernari) Punto di vista del dottor H. ex capo polizia cantonale di Zurigo:

  • “La gente spera che la polizia metta ordine nel mondo”
  • “Quello che mi irrita nei vs romanzi non è l’happy end (si paga per averlo), ma l’intreccio. voi usate la logica. Anche noi dovremmo, ma è il caso e la fortuna professionale che ci permettono qualche successo” (p. 16)

La storia è una dimostrazione di questa visione del mondo.

Ambientazione importante: l’umido e l’oscurità del paese della Normandia (“tutto era nero quel giorno…”); importanza delle luci artificiali; l’unica notte serena è l’ultima, quella dell’arresto. Paesaggio iniziale: neve, gelo, silenzio (si svela nella similitudine montagne=tombe, pag. 10/11). dentro questo paesaggio, il miserabile distributore di benzina, con tre relitti umani.
Intreccio: due storie che si innestano profondamente l’una nell’altra:

  • succede qualcosa dentro la casa, succede qualcosa fuori, l’attentato;
  • c’è uno sviluppo dentro e fuori;
  • c’è un punto preciso di intreccio (quando Jerome intuisce, poi capisce dove è nascosto il ricercato, e lo vuole difendere da zia Valerie);
  • c’è una conclusione fuori che sembra scatenare anche quella dentro (nella notte dell’arresto la madre decide che la zia se ne andrà).

Il vero avvio delle due storie avviene al cap. 3: si capisce la speranza di proprietà della casa e parte la ricerca all’attentatore (padre di Albert); qui c’è anche la scena dei giocattoli rotti (reazione isterica, “Brutta strega!”)

—————————————————

Personaggi: Jerome Lecoeur, il bambino è sensibile, osserva, ascolta, è intuitivo. E’ un vero bambino? Mi sembra di sì (vive in situazione particolare, ma ha sentimenti semplici: paura, amore, eccitazione…)

Zia Valerie appare come una massa oscura, pesante di malignità (è grassa, scura, puzza, non si lava, è volutamente sgarbata e goffa nei movimenti, ha gesti violenti).

Jerome capisce che la zia lo odia e ricambia il sentimento: la zia gode nell’essere sgradevole e nello spaventare il nipote (è un grosso ragno che guarda le mosche che si dibattono)

Le simpatie di Jerome vanno ad Albert e la nonna (portatori di povertà e dignità), mentre la zia li fa oggetto di odio occhiuto.

Meno marcati sono i genitori, inseriti nel loro ruolo di commercianti e nel tentativo di innalzamento sociale (diventare proprietari)

Importante ruolo narrativo ha il vecchio Urbain…

Intreccio: destrutturazione del romanzo giallo:

La storia di Matthäi (“Quell’uomo era un genio!”).

La prima promessa.

La seconda promessa (consegnare l’ambulante alla folla) e il commento del procuratore (p. 40).

(Ironia amara: il coro dei bimbi al funerale della piccola Gritli: “Prendimi per mano e guidami…”).

Interrogatorio dell’ambulante in perfetto stile Simenon (e le prove si chiudono a tenaglia su di lui). Suicidio, caso chiuso.

Chiuso?

Matthäi vede i bambini all’aeroporto…

Visita allo psichiatra, che vuole capire lui, mentre lui vuole capire l’assasino dal disegno della bambina.

Matthäi parla con i ragazzi che pescano: impara come tendere la sua trappola.

Ha logica e ragione, l’assassino deve passare di lì! E ci passa!

La trappola sta per scattare, ma l’assassino non torna: crolla anche la trappola di Matthäi.

Parentesi quadra del narratore secondo, che giustifica le scene ricostruite da romanziere: anche questo destruttura la trama: esiste la realtà o solo racconti della realtà?

A cena nel ristorante, il capo smonta e ironizza su tutti i possibili finali romanzeschi: un finale esiste ed è squallido e meschino, non valido per alcun romanzo, eppure è ciò che chiude il romanzo!

Allucinante racconto della morente signora Schrotto, che sposa il giovane autista e giardiniere ritardato; poi scopre che Uccio… ma per non far godere la sorella, non rivela nulla.

Quando il capo racconta tutto a  Matthäi, è troppo tardi, non c’è più niente da fare.

“E ora, mio caro signore, cominci pure a raccontare questa storia come vuole. Emma, il conto”

Si ricomincia!

Si ricomincia!

Con un po’ di ritardo, causa cambio gestione, eccoci ad aggiornare il blog del gruppo lettura di Melzo.

Quest’anno il gruppo lettura , partito regolarmente il mese di Ottobre ,è coordinato dal Prof. Franco Signoracci.

Gli incontri si terranno secondo il seguente calendario

13 Ottobre 2010

17 Novembre 2010

15 Dicembre 2010

12 Gennaio 2011

9 Febbraio 2011

9 Marzo 2011

13 Aprile 2011

11 Maggio 2011

sempre di mercoledì dalle 21.00 alle 23.00 presso il palazzo Trivulzio di Melzo.

William Shakespeare – il teatro inglese (fine‘500 e inizio‘600)

Il primo teatro permanente è “The Theatre”, 1576. Le compagnie erano composte da soli uomini, ai ragazzi venivano affidati i ruoli femminili, mentre alle donne era severamente proibito recitare in quanto attività immorale. Ciò sottolinea il carattere antinaturalistico del teatro elisabettiano, rafforzato dalla forma circolare della platea, che collocava al centro della sala il palcoscenico, a stretto contatto con il pubblico in piedi. L’impossibilità di usare elaborate scenografie esalta le qualità di teatro della parola, dove tutto viene illusionisticamente evocato dalla recitazione degli attori.

La totale libertà del teatro elisabettiano, che rifiuta le unità di luogo e di tempo e la rigida distinzione  tra tragedia e commedia nasce dall’attenzione rivolta allo spettacolo e agli spettatori, come ad esempio l’utilizzazione della musica e della danza; il pubblico amava i pagliacci, gli intermezzi comici e le acrobazie e brutalità dell’azione fisica. Lo spettatore elisabettiano aveva nervi saldi e voleva provare emozioni adeguate. Viveva in un mondo violento e voleva vederlo riprodotto sulla scena.

IL CONTESTO STORICO

Da non molto è avvenuta la Riforma anglicana nel 1534 con Enrico VIII, ma Shakespeare nasce nel Regno di Elisabetta I Tudor 1558, e vive in una società dall’impianto rigidamente gerarchico, nella quale il ruolo di assoluto garante dell’unità nazionale viene ricoperto dal monarca; S. infatti descrive i Giochi del potere, ma non mette mai in dubbio la funzione unificatrice della monarchia.

L’Inghilterra con Elisabetta conosce un periodo di crescente sviluppo economico e si avvia a divenire la prima potenza mondiale, anche grazie all’annientamento della supremazia marittima della Spagna (vittoria sulla Invincibile Armada 1588)

Ma nel ‘600 si assisterà alla crescente insoddisfazione della nuova borghesia dei dissenzienti (Puritani), che riuscirà ad imporre la chiusura dei teatri, considerati immorali, nel 1642, lo stesso anno in cui scoppia la Guerra Civile.

Elisabetta I Tudor

William Shakespeare:  Cenni biografici

Nato a Stratford upon Avon nel 1564-6, non si hanno però notizie certe: da una famiglia agiata di commercianti di pellame oppure borghese, proprietari di terre poi piccola nobiltà; frequenta una buona scuola locale, poi approda a Londra 1592; attore e commediografo, diviene comproprietario del Globe nel 1599. Muore nel 1616.

Fasi della produzione letteraria

–         Fase Giovanile, dagli esordi al 1600; sperimentazione di generi diversi, non solo teatro, come i Sonetti,  i drammi storici (Riccardo III), le commedie di travestimenti e scambi di persona (Molto rumore per nulla 1598), romance o commedia fiabesca (Sogno di una notte di mezza estate), dark comedy commedia di tono cupo e drammatico nonostante la conclusione lieta (Il Mercante di Venezia), le tragedie (Romeo e Giuletta), amore come passione adolescenziale che si ribellla alle costrizioni sociali

–         Seconda fase; 1600-1607, fase dei grandi capolavori; commedie (Le allegre comari di Windsor; 1600), tragedie classiche (Giulio Cesare), le grandi tragedie (Otello e Amleto)

–         La terza fase 1607-1616; romance o commedia fiabesca, tono più meditativo e sereno, (la Tempesta), il potere può anche rappresentare non solo violenza, ma saggezza.

Le opere di S vengono pubblicate successivamente alla loro prima rappresentazione in testi non autorizzati o poco precisi (in-quarto); es. Amleto in-quarto 1603 e poi 1604, poi 1623 in folio = raccolta di opere. Le fonti: s. era a conoscenza di molti autori contemporanei e non; es. Historia danica di Saxo Grammaticus (Amleto);

Novelle del Bandello (Romeo e Giulietta), novelle di Giraldi Cinzio (Otello)

Perché possiamo definire Shakespeare “nostro contemporaneo”?

  1. Con Omero e Dante è da considerarsi patrimonio della civiltà umana, oggi ancor più famoso per il cinema; in effetti possiamo oggi definirlo il più grande sceneggiatore per il cinema. In questo modo oggi Shakespeare può superare la qualità effimera e transitoria dell’opera teatrale;
  2. Il teatro di S. è insieme rappresentazione (mimesi o imitazione del reale) ed allegoria (collega il particolare destino di quell’individuo all’universale; realismo metafisico;). Anche per i drammi storici la realtà è già trasposta su un piano superiore di universalità.
  3. Il male non è soprannaturale o generato come nel teatro greco classico dal Fato, ma è interno, esistenziale e di ogni “eroe” deve accettarne la responsabilità.
  4. Realismo di S; se i sistemi classicistici prevedevano che i piani non potessero mescolarsi, non così in S (e nel teatro elisabettiano dell’epoca) in cui avviene una commistione tra tragico e comico e tra alto e basso. S è una grandiosa eccezione e pagherà con quasi due secoli di disconoscimento. Lo riscoprirà la cultura romantica.
  5. Il linguaggio di S ha una straordinaria ricchezza ed è aperto alla preziosità più raffinata e aulica come alla trivialità aperta (le figure del buffone).
  6. Alcuni personaggi si sono imposti ormai nell’immaginario collettivo come mito (Romeo e Giulietta, Amleto, Otello; figure proverbiali dell’amore, dubbio, gelosia).

Amleto

1600, versione anche del 1623

Tematiche

Già dalle prime scene tutto appare immerso in un’atmosfera inquietante, la paura della notte, il freddo tagliente, il buio profondo; l’intera tragedia è contrassegnata dal colore nero e dal predominio della penombra; il suo tono è crepuscolare, cimiteriale, malinconico; il dramma ci parla continuamente di morte, di omicidio di suicidio. E’ una revenge tragedy.

Amleto è un eroe moderno perché problematico. Lo tormenta la malinconia, cioè un turbamento profondo che gli impedisce di agire, o modernamente depressione, che lo spinge all’inazione. Tale malinconia dipende sia dalla morte del padre che dalla decisione affrettata del matrimonio materno, ma per molti critici A. già prima della morte del padre manifestava un malessere esistenziale, profondo e diffuso, che investiva tutto il suo rapporto con il mondo; tutte le cose hanno perso valore ai suoi occhi.

Lo Spettro rivelandogli la verità e spingendolo alla vendetta, provoca in lui la crisi; Amleto di colpo perde tutte le sue convinzioni; il suo amore per il padre, affetto verso gli amici, amore verso la donna amata e verso il suo paese, crolla la filosofia e la religione.

Follia; sia segno della cupa malinconia, sia travestimento, rifugio, possibilità di indagare e dire la verità (vedi le figure del buffone, l’arma dell’ironia, l’uso del linguaggio sarcastico e ironico etc.). Infatti nessuno pensa che sia totalmente pazzo: “C’è del metodo in questa follia”

Follia vera o finta? S. tende a esplorare il carattere esistenziale del male che minaccia l’uomo; la follia viene presentata come una malattia latente che si annida nel fondo oscuro dell’irrazionalità comune a tutti gli uomini. Questa follia è un modo per difendersi, per nascondersi, uno strumento di libertà, un mezzo per scoprire la verità.

Altro tema; la malinconia di A. è dovuta sia alla morte del padre sia al “matrimonio incestuoso” della madre con lo Zio; tutto ciò lo ha portato a provare disgusto verso il matrimonio in generale e verso la donna e il sesso in particolare; repulsione verso la sessualità.

La personalità di A. è presentata come insieme di gesti contraddittori, anche il suo comportamento con Ofelia appare immotivato e contraddittorio; perché la spinge alla follia e al suicidio?

La perdita di un’immmagine positiva della madre scatena nel figlio il rifiuto della figura femminile, dell’amore e il disgusto del sesso.

Critica psicoanalitica (il complesso edipico); l’amore per la madre e l’odio per il padre, rimossi da tempo, sarebbero stati ridestati dagli eventi traumatici dell’assassinio del padre e del nuovo matrimonio della madre. L’avversione di A. verso lo zio sarebbe determinata dall’invidia, in quanto questi avrebbe realizzato i desideri inconsci di A. di uccidere il padre e prenderne il posto sposando la madre.

Le figure femminili sono vittime del sistema patriarcale che le vuole mute ascoltatrici di discorsi, dei sermoni, degli ordini e dei capricci dei loro mariti (si veda il rapporto tra Ofelia e Polonio). La fanciulla alle pressioni fattele dal padre conosce una sola risposta – Obbedirò – anche se è consapevole (nella scena in cui Laerte fa una predica sull’onore e la castità), che esiste una doppia e ipocrita etica sessuale, una indirizzata alle donne, l’altra agli uomini che però raramente praticano quel che predicano.

Il rifiuto di Ofelia, dell’amore, dell’azione, tutto è collegato all’avvertimento profondo di un malessere in cui il vizio, la disonestà, la corruzione permeano tutta la realtà esteriore ed interiore: “c’è del marcio in Danimarca”.(vedi linguaggio)

Il teatro nel teatro; durante la recita si mette in scena un’altra recita., poi ripreso nel ‘900, da Pirandello, per esemplificare la visione relativistica della realtà.

Poetiche e stile dell’Amleto

Cinque atti in versi e prosa;

Tema della vendetta “Revenge tragedy”; era un topos letterario dell’epoca; vendetta dell’eroe spesso sollecitato dal fantasma o dal parente della persona amata, le scene di follia, dissimulata o autentica, la recita nella recita, scene ambientate in cimiteri, scene di carneficina. Qui tre vendette: v. di A. contro il Re; V. di Laerte che vuol punire Amleto che gli ha ucciso il padre e ha fatto impazzire Ofelia; v. di Fortebraccio, al cui padre erano stati sottratti dal padre di Amleto i territori della Danimarca che ora intende recuperare.

Schegge di episodi, ogni singola situazione potrebbe offrire lo spunto per un’altra tragedia.

Da notare che tutto ciò che nel dramma vi è di importante – a parte la catastrofe finale – accade fuori scena, e anche questo elemento contribuisce alla natura indeterminata e sfuggente del dramma.

Alcune incongruenze nel testo

Le fonti: Historie Danicae di Saxo Grammaticus, 1100/1200, poi riprese dal francese de Belleforest 1576.

Linguaggio; la presenza delle metafore della malattia e della corruzione; pustole, ulcere, cancri, l’infezione interiore che si riflette nel marcio esteriore; la nausea e la corruzione sono associate all’idea del sesso, dell’amore e della carne.

Commistione di linguaggio aulico e raffinato e triviale e popolare.

Volete saperne di più su Shakespeare? Leggete

–         Stephen Greenblatt – Vita, arte e passioni di William Shakespeare, capocomico – Einaudi

–         Colin  McGinn – Shakespeare Filosofo – Fazi editore

Chi vuole invece approfondire le tecniche narrative degli scrittori, può leggere

James Wood – Come funzionano i romanzi – Mondadori.

E un bel romanzo su cui discutere a ottobre?

Vasilij Grossman – Vita e destino – Adelphi

Oppure vi consiglio il bellissimo e commovente

Robert Schneider – Le voci del mondo – Einaudi.